All’interno di un immaginario edificio classico, Raffaello Sanzio ci fa entrare in una dimensione alternativa in cui possiamo venire a contatto con alcuni dei più grandi intellettuali di tutta la storia.
Con questo affresco, situato nei Musei Vaticani nella stanza della Signatura, possiamo osservare una “divisione” tra le persone; una divisione creata da una piccola scalinata, in cui al centro troviamo due figure identificate come Platone ed Aristotele.
Il quadro è stato analizzato a sezioni, in cui specifici personaggi sono riconoscibili nel gruppo di destra e in quello di sinistra.
Il titolo “Scuola di Atene” gli viene attribuito dopo anni dalla sua realizzazione, in virtù del fatto che storicizzando l’opera, viene a cadere l’elemento di centralità della chiesa.
Lo scopo dell’autore era quello di mostrare la volontà umana nello sforzarsi per arrivare alla conoscenza del vero e del bello; infatti è posto difronte ad un altro dipinto ” La disputa del sacramento” inno alla fede e alla religiosità.
I due affreschi sono dunque un chiaro esempio del contrasto esistente tra cultura classica e cristiana, che, seppur nemiche sono state fondamentali per lo sviluppo culturale del primo cinquecento.
Dunque, la Scuola di Atene è una celebrazione del pensiero umano e dell’arte, poiché vengono rappresentate le sette arti liberali: la grammatica, l’aritmetica, la musica, la geometria, l’astronomia e in cima a tutto la retorica e la dialettica.
L’artista pone al centro del quadro l’uomo, poiché vuole intendere che con lo sviluppo del pensiero umano, quest’opera diviene un chiaro manifesto della concezione antropocentrica dell’uomo rinascimentale.
Concentrandoci sugli elementi generali, possiamo notare uno sfondo dotato di ottima prospettiva; un arco libero da cui si può intravedere un cielo limpido.
Ai lati, sono collocate due statue che rappresentano Apollo e Minerva.
Sotto Apollo si trova una “lotta degli ignudi” che sta a simboleggiare le miserie dell’animo umano come quella della guerra. Sotto Minerva, l’elemento che salta all’occhio è la presenza di un uomo che ha la migliore su di un bovino, per simboleggiare la vittoria dell’intelligenza umana sul mondo animale.
Platone ed Aristotele essendo al centro, vengono rappresentati come “esterni” alla composizione, per sottolineare il significato che il vero, che il loro pensiero, ha caratteristiche sintetiche che possono sopravvivere autonomamente.
Platone è disegnato con il volto di Leonardo Da vinci e il suo dito indica l’alto per affermare che l’oggetto di ricerca principale della filosofia è il bene, dunque la sfera celeste.
Aristotele vene rappresentato con il volto di Bastiano da Sangallo, il quale ha il braccio verso la terra proprio per affermare il legame che l’uomo deve avere con il mondo terreno (la realtà intellegibile).
Per le descrizioni degli altri personaggi, ci affidiamo a fonti già definite:
A sinistra di Platone troviamo personalità come Socrate, Alessandro Magno, Senofonte ed Alcibiade.
All’estrema sinistra, attorno alla base di una colonna, Zenone di Cizio vicino a un fanciullo, che regge il libro letto secondo alcuni da Epicuro. Pitagora è seduto più avanti, in primo piano, mentre legge un grosso libro e forse Telauge gli regge una tavoletta. Nella tavoletta si leggono segni simbolici, riprodotti anche dallo Zarlino, che sono stati visti come schemi delle concordanze musicali, cioè la suddivisione tipicamente pitagorica dell’ottava musicale e la forma simbolica della Tetraktys.Dietro di lui Averroè col turbante, che si china verso di lui, e un vecchio che prende appunti, identificato con Boezio o Anassimandro o Senocrate o Aristosseno o ancora Empedocle. Davanti si trovano un giovane in piedi di controversa identificazione e Parmenide o
Aristosseno. Verso il centro Eraclito, isolato, poggia il gomito su un grande blocco.
Il personaggio sulla sinistra, di fianco a Parmenide, dai tratti efebici, biancovestito e con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, è di identificazione controversa, anche se una identificazione generalmente accettata è quella di Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino e nipote del papa Giulio II, che all’epoca del dipinto si trovava a Roma e ai cui servigi Raffaello doveva forse la venuta a Roma. Secondo l’ipotesi di Giovanni Reale questa figura biancovestita è un “simbolo emblematico dell’efebo greco ovvero della “bellezza/bontà”
Il gruppo a destra di Aristotele è di difficile interpretazione. L’uomo stante, vestito di rosso, dovrebbe essere Plotino, in silenzioso isolamento. Al centro sta sdraiato sui gradini Diogene, con i chiari elementi iconografici (l’abito lacero e l’atteggiamento di ostentato disprezzo del decoro e la ciotola).
In primo piano si trova un gruppo centrato su Euclide (secondo alcuni studiosi si tratterebbe di Archimede, in ogni caso la figura è raffigurata con le sembianze del Bramante), intento a enucleare un teorema tracciando figure geometriche, attorniato da allievi; alcuni decori sulla sua tunica sono stati interpretati come la firma di Raffaello (“RVSM”: “Raphaël Urbinas Sua Manu”).
Dietro di lui, l’uomo coronato che dà le spalle allo spettatore e regge un globo terracque in mano è Claudio Tolomeo, che a quell’epoca era ancora confuso con un faraone della dinastia deiTolomei[4]. Davanti a lui si trova un uomo barbuto, forse Zoroastro, e dietro due personaggi di profilo, in vesti contemporanee, in cui si è voluto vedere la raffigurazione ad autoritratto di Raffaello stesso e quella, più improbabile, dell’amico e collega Sodoma, che ha lavorato al dipinto sulla volta ed a cui alcuni hanno attribuito un ruolo anche nell’esecuzione dell’affresco stesso. L’identificazione di Sodoma è però da alcuni ritenuto improbabile, giudicando l’età dell’effigiato molto maggiore ai trentatré anni che l’artista aveva all’epoca; si sono fatti allora i nomi del Perugino, antico maestro di Raffaello, che all’epoca aveva l’età di circa 60 anni (ma che contrasta con le fattezze del pittore tramandate nel suo autoritratto) o di Timoteo Viti.
La presenza di Raffaello tra i filosofi è stata così spiegata da Giovanni Reale (1997): «L’arte di Raffaello è un attenuarsi di quella metafisica “giusta misura”, che per Platone coincide con il Bene e con il Vero e […] dunque è godimento supremo del Bene e del Vero mediante il Bello. e credo che con la firma di “piccolo tra i grandi”, Raffaello intendesse presentarsi anche come filosofo appunto in questa dimensione: l’arte è alta filosofia, come esplicazione delle armonie numeriche del bello visibile, armonie che costituiscono, in ultima analisi, la struttura dell’essere».